A quasi 31 anni non è cambiato nulla. Antonio Cassano oggi è come cinque, dieci, venti anni fa. È ancora il ragazzino dei vicoli di Barivecchia che deve fare la faccia cattiva. Quello che ha sempre qualcosa da dimostrare. Quello che per diventare grande deve prima scavarsi la fossa. Quello che se vola troppo vicino al sole si brucia e cade giù. Quello che deve lottare su ogni pallone, come un mediano dai piedi arrugginiti, proprio lui, ironia della sorte, dotato di un talento immenso. Ma mai pienamente sbocciato. Perché quel talento è stato rischiarato a tratti, quando le nuvole andavano via. Ma queste poi puntualmente ritornavano. Antonio da Barivecchia ci ha lottato contro. Ma era come se un po’ si fosse innamorato di quelle nuvole. Le spazzava via con tocchi di genio in campo e le faceva ritornare un attimo dopo negli spogliatoi. Ha avuto la fortuna tra le mani e non ci ha pensato due volte a prenderla a calci. Come nel Real Madrid, l’esperienza più sfavillante eppure più sfortunata della sua carriera. Lo chiamavano “Talentino”, ci ha messo due minuti a diventare pasto per i giornali di gossip. La risurrezione in blucerchiato era troppo appagante, troppo estatica, troppo vera. Troppo per Antonio. Anche lì ha voltato le spalle alla felicità. Milano è stata l’ultima sua grande tappa calcistica. Tra rossoneri e nerazzurri è andata in scena l’ennesima puntata della sua telenovela. Sempre con quel retrogusto di incompiuto. Adesso riparte da Parma. Ma non ditegli che ha perso. In fondo, a Antonio piace così.