Quando Antonio Conte era meglio di Mourinho (e lo è tuttora), parte seconda

31 dicembre 2012

CONTE BARI(segue)

Conte aveva tutto contro. Una situazione di classifica preoccupante, una società poco disposta a intervenire sul mercato, una squadra in difficoltà psicologica e con poca qualità, una tifoseria che nutriva più di una perplessità. Ma tutto questo non fu un problema per lui. Conte rivoluzionò la squadra su due livelli: quello tattico, nel proporre un calcio propositivo e pragmatico, e quello psicologico, nell’imprimere una mentalità vincente e nel tirare fuori dai giocatori il meglio di sé. I risultati si videro subito. La squadra risaliva una china che sembrava irreversibile e in pochi mesi si assestò in una zona di classifica tranquilla. A maggio, il Bari si prese pure la soddisfazione di battere in trasferta il Lecce proiettato verso la serie A: Conte era entrato nel cuore dei tifosi baresi.

Il confortante scorcio di campionato con Conte in sella lasciava presagire un campionato privo di stenti per il Bari, l’anno successivo. Al San Nicola la gente cominciava a tornare, dopo anni di diserzione, convinta da una squadra volenterosa e ben organizzata dal suo condottiero. I biancorossi, ai nastri di partenza, erano una delle outsider del campionato: possono far bene, forse raggiungono i play off. E questo, ai tifosi baresi, già bastava. Ma Conte guardava oltre. Quella squadra l’aveva voluta lui, l’aveva plasmata lui, le aveva dato un’anima. E una missione: vincere. La cavalcata trionfale del Bari non fu priva di ostacoli. Ma quella squadra aveva la scorza dura del suo allenatore: se cadeva, si rialzava prontamente. E quando imparò a non cadere più, non ce ne fu più per nessuno. Il Bari chiuse il campionato al primo posto con 80 punti e tornò in serie A dopo un’attesa lunga otto anni. Conte accettò di restare a Bari, salvo poi essere messo alla porta da Matarrese appena venti giorni dopo aver firmato il rinnovo del contratto. Divergenza di vedute sul mercato, la versione ufficiale. Paura di volare, in poche parole. Quella che Conte non ha mai avuto: i successivi trionfi a Siena e con la Juve ne sono la riprova. Adesso, Conte lo sa, può vincere anche in Champions, magari in una sfida contro Mourinho. Per dar ragione a quanto urlava all’antistadio quel tifoso del Bari, innamorato di quella squadra e di quell’allenatore.


Quando Antonio Conte era meglio di Mourinho (e lo è tuttora), parte prima

30 dicembre 2012

conte-bari1

Se Maradona è megli’e Pelè, Antonio Conte iè megghie d’ Mourinho. Mentre a Milano, sponda Inter, tutti pendevano dalle labbra dello Special One, a Bari, nel frattempo, c’era un allenatore ancora più speciale: Antonio Conte. Lui che risollevò il Bari dalle ceneri, lui che nelle vie squadrate del capoluogo pugliese veniva sottoposto a processi di beatificazione, lui che ispirò, un giorno, durante un allenamento, un’esclamazione euforica di un tifoso: “Conte, lo sai chi è Mourinho in confronto a te? Platinette!”.

Oggi Conte è tra gli allenatori più stimati d’Europa, in grado di trainare al successo in campionato una Juventus che non sapeva più vincere. Ha la stoffa del leader, sin da quando, in campo, reggeva i destini del centrocampo bianconero. Ma non chiamatelo il Mourinho italiano: il suo calcio non solo è vincente, è anche per palati fini.

E dire che il suo battesimo in panchina, ad Arezzo, lo aveva scottato: retrocessione in serie C. Le speranze di salvezza, dopo una rimonta feroce, si spensero solo all’ultima giornata, vanificate dall’amata Juventus che, già promossa in serie A, aveva perso in casa contro lo Spezia, diretto avversario dei toscani nella lotta per non retrocedere. Conte non l’aveva presa bene: la sconfitta non è nel suo dna.

Una delle scene più belle del film “Invictus”, diretto da Clint Eastwood, ritrae la nazionale di rugby sudafricana al rientro negli spogliatoi dopo una sconfitta. Il capitano Pienaar, interpretato da Matt Damon, dopo aver distribuito delle lattine di birra alla squadra, pronuncia queste parole: “Vi propongo un brindisi: al sapore della sconfitta. Assaporatelo, ricordatevelo e promettete a voi stessi di non assaggiarlo ancora”. Ecco, il carisma di Conte ben si sposa a queste parole. Dopo Arezzo, Conte si ripromise una sola missione: vincere.

La sua occasione di riscatto arrivò a dicembre 2007, nel pieno delle vacanze natalizie. Il Bari di Beppe Materazzi aveva chiuso il suo annus horribilis prendendo quattro reti in casa dai rivali del Lecce. Era un Bari disastrato: Materazzi dimissionario, squadra in zona retrocessione, morale di squadra e tifosi sotto i tacchi. A Conte era stata affidata l’ardua impresa di ridare slancio a una piazza depressa e da troppo tempo abituata a un crudele anonimato in serie B. Alla tifoseria già in rivolta per l’umiliazione del derby, quella scelta apparve una “caricatura”, come si dice in Puglia: ma come, un leccese sulla panchina del Bari? (segue)


Il meglio e il peggio: diciottesima giornata di serie A

23 dicembre 2012
Burdisso sovrasta Yepes per il momentaneo 1-0 della Roma sul Milan

Burdisso sovrasta Yepes per il momentaneo 1-0 della Roma sul Milan

IL MEGLIO

JUVENTUS: La fine del mondo non è arrivata, la fine del campionato sì. Sembrerebbe prematuro dirlo a dicembre, se non ci fosse di mezzo una truppa di marziani di bianconero vestiti. Contro il Cagliari, per un’ora la Juve non c’è, poi si scrolla dal torpore e furoreggia a piacimento. Quante squadre in Europa possono concedersi il lusso di giocare un terzo di partita?

LAZIO: La vittoria di Genova è un tassello importante nel processo di crescita della formazione di Petkovic: se c’è un limite che la Lazio deve risolvere, è il mal di trasferta. La rete di Hernanes a Marassi interrompe un digiuno di gol che lontano dall’Olimpico perdurava da quattro partite. E consegna ai biancocelesti un secondo posto da appuntare al bavero della giacca.

ROMA: Più che il risultato roboante con cui i giallorossi hanno appallottolato il Milan, colpisce la padronanza degli Zeman boys nel governare la gara. Il Diavolo è furente, ma la Lupa lo doma: uno, due, tre squilli nel giro di mezzora. E non ci si ferma nemmeno sul 3-0, no, sennò che Zemanlandia sarebbe? Quando il Milan rialza la testa, nel finale, la Roma ha già calato il sipario sul match.

IL PEGGIO

INTER: Qualcuno, all’Inter, deve aver fatto confusione con il periodo di vacanze. Non era programmato che iniziassero a San Siro contro il Genoa, invece così è stato: squadra statica, molle, senza acuti. Ne è uscito fuori un mezzo disastro sportivo, reso meno inquietante dalla rete di Cambiasso: ma ‘ndo vai se il carattere da anti-Juve non ce l’hai?

LIVAJA: Non è italiano, ma ha imparato in fretta: è tempo di cinepanettoni, perché non inventarsi una gag in stile Massimo Boldi? L’errore clamoroso (palla sul palo a un metro dalla porta) contro il Genoa entra di diritto nel guinness dei primati: tutti da ridere, si intende.

YEPES: Solitamente è un gigante dalle alte quote, contro la Roma diventa un nanetto da giardino. Le palle alte sono un rebus che Yepes non riesce a risolvere: ogni cross che la Roma recapita in area rossonera è un dramma. E se a fine partita Amelia esce con quattro reti sul groppone, sa già a chi inviare la richiesta di risarcimento danni.


Il meglio e il peggio: diciassettesima giornata di serie A

17 dicembre 2012

NAPOLI-BOLOGNA

IL MEGLIO

JUVENTUS: Uno si allena tutta la settimana, spreme tutte le gocce di sudore che ha in corpo, segue con gli occhi sbarrati le indicazioni del mister sotto stress che si è dannato l’anima per preparare il match, e poi? Poi non riesci manco a giocarla, ‘sta benedetta partita. In sintesi, la settimana dell’Atalanta. Ma come diavolo si fa a fermare questa Juve?

KONE: Scegliete voi l’espressione che più vi aggrada, quella che, a vostro parere, meglio si accompagna al salto sulla sedia. Entra sull’1-2 e gli bastano meno di dieci minuti per inventarsi un gol capolavoro, probabilmente il più bello del campionato. Una magia che fa piombare il Napoli in stato catatonico e dà il la alla rimonta completa.

BELFODIL: Da oggetto misterioso a oggetto totemico. È lui a trascinare il Parma alla vittoria contro il Cagliari, con la prima doppietta in serie A, senza contare che il gol di Biabiany è al 90%  suo.

IL PEGGIO

ATTACCO PESCARA: L’attacco degli abruzzesi è di altissimo livello. Due gol, di pregevole fattura, messi a segno alla Scala del calcio. Abbruscato in tuffo, Jonathas con una torsione da specialista. La qualità c’è, adesso bisogna solo indovinare la porta giusta.

ROMA: Zemanlandia si adegua al clima veronese. C’è foschia e i giallorossi hanno le idee annebbiate, smarriscono il gioco fluido e si incartano nei pressi di Sorrentino. Una cosa, però, non cambia mai: il gol subito con difesa altissima non può mancare.

NAPOLI: Sul più bello, casca l’asino. Pardon, volevo dire il ciucciariello: è un Napoli che contro il Bologna si butta via, proprio quando l’Inter ha frenato e la strada per il secondo posto è spianata. Manca la serenità nel gruppo di Mazzarri: le vicende del calcioscommesse fanno sentire il loro peso.


Lazio-Inter e Genoa-Torino, i “quoque tu” dell’universo del pallone

14 dicembre 2012

Sbircio la giornata di campionato che verrà e metto nel mirino due partite: Lazio – Inter e Genoa – Torino. Le gare più interessanti del weekend perché entrambe comunicano un senso di vertigine, pur se a quote abbondantemente diverse. La vertigine rimane vertigine, sia per chi sta in alto e vuole rimanerci aggrappato, sia per chi è in basso e rischia di sprofondare nell’abisso. Ma il rettangolo di gioco non è tutto: con queste due partite si intrecciano storie di tifo, di gemellaggi, di scudetti persi, di retrocessioni turbolente.

Il gol di Simeone in Lazio - Inter del 5 maggio 2002

Il gol di Simeone in Lazio – Inter del 5 maggio 2002

Le lacrime di Ronaldo in panchina

Le lacrime di Ronaldo in panchina

Lazio – Inter non può non far venire in mente il 5 maggio 2002, con il drammatico epilogo di campionato che sottrasse all’Inter uno scudetto praticamente già vinto. Quel pomeriggio all’Olimpico tutto era pronto per la festa: pronti i tifosi nerazzurri, che attendevano uno scudetto da 13 lunghi anni, ma pure quelli biancocelesti, gemellati con la tifoseria interista e favorevolissimi a una loro vittoria dello scudetto, per cui era in corsa anche la Roma. Tutto era pronto per la festa, appunto: solo che quella festa non andò mai in onda.

Eppure nessun interista aveva sentore che quello sarebbe stato un pomeriggio maledetto. Perché Vieri firmò subito il vantaggio. Perché Di Biagio replicò immediatamente al pareggio provvisorio di Poborsky. E chissenefrega se la Juve vinceva in scioltezza a Udine. A cinquanta minuti dalla storia, la classifica recitava: Inter 72, Juve 71. Ma allora non contava. Perché all’appello mancavano ancora il secondo gol di Poborsky e le reti di Simeone e Inzaghi. Per il 4-2 più famoso di casa nostra. Per le lacrime di Ronaldo in panchina. Per le quasi lacrime di Materazzi, che ai suoi avversari bisbigliò “vi abbiamo fatto vincere lo scudetto…”, riferendosi a quando, due anni prima, con la maglia del Perugia aveva castigato la Juve e favorito così la vittoria in campionato della Lazio. La Juve vinse lo scudetto e l’Olimpico, all’unisono, intonò il lamento della sconfitta.

Il parapiglia al termine di Torino - Genoa del 24 maggio 2009

Il parapiglia al termine di Torino – Genoa del 24 maggio 2009

Se il 5 maggio non ha incrinato i rapporti tra le tifoserie di Lazio e Inter, ben altro discorso va fatto per quelle di Genoa e Torino. Il gemellaggio ultratrentennale svanì all’improvviso, inghiottito da un irrequieto pomeriggio domenicale che per il Toro puzzava terribilmente di retrocessione. Era il 24 maggio 2009: i granata avevano il disperato bisogno di vincere, il Genoa sperava nel sorpasso alla Fiorentina per il quarto posto. Era battaglia vera: due volte il Genoa in vantaggio, due volte ripreso dal Toro. Poi, quando mancava poco alla fine, arrivò la notizia del vantaggio della Fiorentina, che recideva le ultime speranze di Champions per i rossoblù. Che, legittimamente, non se ne curarono e giocarono la gara fino in fondo, piazzando il gol da tre punti con Milito al 90’. I tifosi del Genoa esultarono, quelli del Torino si imbufalirono. In campo sfociò un parapiglia da censurare, con i calciatori liguri presi di mira perché “rei” di aver segnato il gol vittoria. Le due tifoserie ruppero i rapporti e da allora non si sono più viste. Se ne riparlerà domenica.


Il meglio e il peggio: sedicesima giornata di serie A

11 dicembre 2012
Un'azione di Roma-Fiorentina

Un’azione di Roma-Fiorentina

IL MEGLIO

ROMA-FIORENTINA: Qualcuno potrebbe parlare di difese colabrodo, senza tema di smentita. Ma una partita del genere è una goduria per gli occhi e a nessuno, dopo una scorpacciata di calcio spettacolo del genere, salterebbe in mente di fare le pulci ai due allenatori per la tenuta difensiva delle loro squadre. Nelle sei reti e nelle tante emozioni che fioccano all’Olimpico c’è un angolo di calcio italiano bellissimo, che potrebbero invidiarci pure in Spagna o giù di lì. Promuoviamo la Roma, trascinata da un Totti in versione deluxe, ma promuoviamo pure la Fiorentina, che non recita affatto un ruolo da comprimaria nella serata dei fuochi d’artificio.

ALLEGRI: Sarà l’influsso benefico della crescita dell’autostima, sarà la scoperta della miscela tattica perfetta, sarà pure il potere taumaturgico delle visite del signor B. a Milanello, fatto sta che il signor A. (che non sta per Alfano) ha ripreso in mano le redini di un Milan che fu scalcagnato e oggi è tambureggiante. La vittoria corsara a Torino è la sintesi di un Milan tornato padrone del campo e degli avversari: la follia di Nocerino un tempo avrebbe reso i rossoneri spaventati e tremebondi, oggi è la molla che scatena il furore dell’artiglieria pesante.

GUARIN: Forse l’Inter non è l’anti-Juve, forse Stramaccioni non è l’anti-Conte, ma Guarin sembra perfetto nei panni dell’anti-Vidal. La forza d’urto del colombiano contro il Napoli scuote il match nella direzione prediletta. Il gol che spacca in due la partita è un concentrato di classe e potenza, l’assist per la voracità di Milito è propiziato da un mix di talento che disegna una soffice danza sul prato di San Siro. È un gigante, impossibile fermarlo.

IL PEGGIO

DELNERI: La sua esperienza in sella alla panchina genoana sta assumendo contorni fantozziani. Il suo Grifone è spelacchiato, senza potenza di fuoco, debilitato da otto sconfitte nelle ultime nove partite. A Pescara i rossoblù ce la mettono tutta, colpiscono due traverse e sembrano imboccare la strada giusta. Invece arriva il gol di Abbruscato, che fa più male di una martellata sul ditone. E il povero Delneri adesso teme, fantozzianamente, di dover ricominciare la gavetta dal gradino più basso: il parafulmine.

LAZIO: Le schizofrenia dei biancocelesti è proverbiale. Impavidi in casa, balbettanti in trasferta: contro il Bologna arriva la quarta partita esterna consecutiva senza reti all’attivo. E se Klose viene rimpiazzato da Kozak, beh, allora diventa tutto più complicato.

I “CALCIATTORI”: Reinventarsi va bene fino a un certo punto. Per esempio, Bonucci non è tagliato per far l’attore: Leonardo, sei fuori (contro l’Atalanta).


L’Italia del calcio avanza in Europa

7 dicembre 2012

calcio-europeo

Se ci fosse un’agenzia di rating per il calcio nazionale, il nostro, al giro di boa di dicembre, verrebbe valutato positivamente. Le squadre italiane in Europa hanno fatto il loro dovere, ad eccezione dell’Udinese. Cinque squadre su sei qualificate al turno successivo è un dato confortante, in linea con le performances degli altri grandi Paesi. Solo la Germania ha centrato l’en plein, con sette squadre su sette, mentre la Spagna, come l’Italia, ne ha persa una per strada (l’Athletic Bilbao). Il calcio inglese, promosso a pieni voti in Europa League, ha deluso invece in Champions: solo due qualificate, Manchester Utd e Arsenal, Chelsea (da campione in carica) retrocesso in Europa League e Manchester City spedito a studiare sui libri di scuola. Decimata la Francia, che pure ci segue da vicino nel ranking Uefa: delle sei squadre presentate, appena tre (Psg, Bordeaux e Lione) hanno varcato le colonne d’Ercole della qualificazione. Segno che il calcio transalpino, Psg compreso, deve fare ancora tanta strada prima di entrare nell’Eden del pallone.

Da febbraio si comincia a fare sul serio. Ed è lì che si parrà la nobilitate del nostro calcio. Le cui speranze sono saldamente aggrappate alla Juventus, fiore all’occhiello della Serie A. Il modo con cui i bianconeri si sono sbarazzati del Chelsea e hanno espugnato la gelida Donbass Arena autorizza a pensare in grande. Solo Real e Barcellona sono davanti, ma i bianconeri non partono battuti. Il Milan, nel girone, ha tirato fuori gli artigli nei momenti più cruciali: le prospettive non sono rosee, ma difficilmente i rossoneri perderanno la faccia anche contro un avversario di caratura scintillante. In Europa League, Inter e Lazio hanno staccato il pass per i sedicesimi in maniera autoritaria: di big in giro ci sono solo Chelsea e Atletico Madrid, tutte le altre partono dietro o almeno appaiate alle nostre. Il Napoli deve decidere cosa fare da grande: in Europa la squadra di Mazzarri si è presentata infarcita di riserve e in più di un’occasione ci è scappata la figuraccia. Che, per ora, il calcio italiano ha evitato.


Anche i ricchi piangono

5 dicembre 2012
Il crollo del City in Champions

Il crollo del City in Champions

Anche nel calcio, i soldi non fanno la felicità.

Il Manchester City degli sceicchi è fuori dalla Champions, fuori dall’Europa League, fuori da tutto. I tre punti totalizzati nel girone, senza nemmeno lo straccio di una vittoria, valgono ai Citizens un record negativo: mai una squadra inglese aveva chiuso l’esperienza di Champions senza nemmeno una vittoria.

Tre punti non sono serviti nemmeno per la qualificazione in Europa League, strappata dal più modesto Ajax. Borussia Dortmund e Real Madrid, poi, sono a una distanza siderale: 14 punti per i tedeschi e 11 per gli spagnoli. Distacchi ingiustificabili per la caratura della formazione inglese.

È il fallimento non della gestione Mancini (che pure ha le sue colpe), quanto di un progetto senza costrutto, basato sulla spasmodica caccia di campioni. L’affollamento di prime donne crea più di un grattacapo al tecnico italiano, costretto a far convivere nello stesso rettangolo di gioco attori con le medesime caratteristiche. Soluzione sempre meno percorribile: l’ovvia conseguenza consiste nel sacrificare questo o quel giocatore, che in una squadra normale giocherebbe sempre titolare. Se cresce il numero dei mal di pancia, si rompe l’armonia dello spogliatoio, che è il primo segreto per il successo di una squadra. Ed è il grosso problema con cui Mancini si trova a fare i conti: il City, in Europa, non è stato squadra.

Non è l’unico caso perché anche il Paris Saint Germain non sta vivendo giorni felicissimi. Se in Champions finora è filato tutto liscio, complice il fatto di aver giocato nel girone più morbido degli otto, in Francia la formazione di Ancelotti è addirittura quarta, alle spalle di Lione, Marsiglia e Saint Etienne (che ha gli stessi punti ma una migliore differenza reti). Nell’ultimo turno il Psg di Ibrahimovic, Thiago Silva, Lavezzi, Pastore e Verratti ha perso contro il Nizza di Bautheac e Eysseric. Che, siamo sicuri, non finiranno sul taccuino degli sceicchi.


Il meglio e il peggio: quindicesima giornata di serie A

3 dicembre 2012
Il rosso a Glik nel derby di Torino

Il rosso a Glik nel derby di Torino

IL MEGLIO

GLI SPIETATI: Non stiamo parlando del film di Clint Eastwood premiato con l’Oscar, ma di quei giocatori decisivi contro la loro ex squadra. Paloschi affossa il Genoa con tre reti, Destro punisce il Siena con una doppietta e Gabbiadini segna il gol che regala tre punti al Bologna contro l’Atalanta. C’eravamo tanto amati, ma io ti faccio gol lo stesso.

EL SHAARAWY: Habitué della rubrica, decisivo pure su un campo trappola come quello di Catania. Il primo gol, anche se in fuorigioco, è da attaccante col fiuto del gol. Il secondo arriva con una parabola a giro che sembra disegnata col compasso. Galliani lo paragona a Neymar, io ormai ho finito gli elogi.

MARCHISIO: Sulla ruota di Torino esce il numero 8: quello di Marchisio. Con Pirlo che dal dischetto si improvvisa Salas e con Vidal ai box, tocca al “Principino” rimboccarsi le maniche: decide il derby della Mole con due gol belli e importanti. Da torinese doc: l’aria di derby gli fa bene.

IL PEGGIO

GLIK E BARRIENTOS: Avete presente “Wolf, risolvo problemi”? Ecco, questi qui i problemi li creano. Due rossi che condizionano i risultati di Torino e Catania: l’entrata da codice rosso di Glik su Giaccherini spiana la strada alla Juventus, lo sciocco calcetto di Barrientos a Nocerino pone le basi per la rimonta del Milan. Voglia di ravvivare il match?

GENOA: “Va tutto bene, cominci dall’inizio…”. Il disastrato Genoa sarà sul lettino di uno psicanalista dopo aver subito quattro reti a domicilio dal Chievo. Per Delneri è addirittura la sesta sconfitta su sette panchine. E deve essersi accorto che i rossoblù hanno un gusto morboso per la sconfitta per 4-2 in casa: è già la terza volta in questo campionato.

PESCARA: Il materiale a disposizione è quello che è, Stroppa prima e Bergodi adesso non sono ancora attrezzati per i miracoli. Però, ultimo posto, peggior attacco e peggior difesa suona un tantino sinistro. E il modo in cui gli abruzzesi hanno incassato le cinque reti a Napoli fa pensare che i partenopei stessero giocando alla Playstation con il livello “esordiente”.


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