Conte aveva tutto contro. Una situazione di classifica preoccupante, una società poco disposta a intervenire sul mercato, una squadra in difficoltà psicologica e con poca qualità, una tifoseria che nutriva più di una perplessità. Ma tutto questo non fu un problema per lui. Conte rivoluzionò la squadra su due livelli: quello tattico, nel proporre un calcio propositivo e pragmatico, e quello psicologico, nell’imprimere una mentalità vincente e nel tirare fuori dai giocatori il meglio di sé. I risultati si videro subito. La squadra risaliva una china che sembrava irreversibile e in pochi mesi si assestò in una zona di classifica tranquilla. A maggio, il Bari si prese pure la soddisfazione di battere in trasferta il Lecce proiettato verso la serie A: Conte era entrato nel cuore dei tifosi baresi.
Il confortante scorcio di campionato con Conte in sella lasciava presagire un campionato privo di stenti per il Bari, l’anno successivo. Al San Nicola la gente cominciava a tornare, dopo anni di diserzione, convinta da una squadra volenterosa e ben organizzata dal suo condottiero. I biancorossi, ai nastri di partenza, erano una delle outsider del campionato: possono far bene, forse raggiungono i play off. E questo, ai tifosi baresi, già bastava. Ma Conte guardava oltre. Quella squadra l’aveva voluta lui, l’aveva plasmata lui, le aveva dato un’anima. E una missione: vincere. La cavalcata trionfale del Bari non fu priva di ostacoli. Ma quella squadra aveva la scorza dura del suo allenatore: se cadeva, si rialzava prontamente. E quando imparò a non cadere più, non ce ne fu più per nessuno. Il Bari chiuse il campionato al primo posto con 80 punti e tornò in serie A dopo un’attesa lunga otto anni. Conte accettò di restare a Bari, salvo poi essere messo alla porta da Matarrese appena venti giorni dopo aver firmato il rinnovo del contratto. Divergenza di vedute sul mercato, la versione ufficiale. Paura di volare, in poche parole. Quella che Conte non ha mai avuto: i successivi trionfi a Siena e con la Juve ne sono la riprova. Adesso, Conte lo sa, può vincere anche in Champions, magari in una sfida contro Mourinho. Per dar ragione a quanto urlava all’antistadio quel tifoso del Bari, innamorato di quella squadra e di quell’allenatore.