Fenomeni a Bari. Così titolava La Gazzetta dello Sport all’indomani di un Bari-Inter 2-1 disputato il 18 dicembre 1999. Erano baby fenomeni, sconosciuti, con la tremarella di chi in Serie A ci ha giocato spiccioli di gara. Insieme, lanciati titolari da Fascetti, batterono i giganti nerazzurri. Uno aveva 17 anni, l’altro 18: in due, totalizzavano l’età del 35enne Ferron, portiere dell’Inter. Uno era nato in uno dei “sottani” di Bari Vecchia, l’altro era arrivato nel capoluogo pugliese un po’ per caso. Uno avrebbe fatto parlare di sé per tanti anni (e lo fa ancora), l’altro si sarebbe smarrito nel lato oscuro del pallone. Uno è Antonio Cassano, l’altro è Hugo Enyinnaya. Si presero la scena, in quella sera freddina di dicembre. Enyinnaya, dopo sette minuti di gioco, fece gol da 40 metri: il pallone rimbalzava, lui non ci pensò due volte e lo scagliò alle spalle del portiere. Corsa verso la bandierina, quasi un mancamento dall’emozione, con i 60000 del San Nicola che stordivano i suoi sensi. “Bravo Ciccio”, gli dicevano i compagni. Ciccio, così lo chiamavano a Bari. Poi pareggiò Vieri, ma l’Inter in campo non c’era, come ammise a fine gara Lippi. A due minuti dal termine Cassano dribblò mezza difesa interista, decise la gara e mise la firma su un futuro brillante. L’anno dopo passò alla Roma per 60 miliardi di lire. Cassano spiccò il volo. Ciccio non ci riuscì. Rimase a Bari, ma la sua esperienza fu un calvario. Giocava poco, segnava ancora di meno, condizionato com’era da una lunga serie di infortuni. A casa, dove all’inizio dormiva per terra (“Non sono abituato ai materassi”, disse), ripensava a quella sera contro l’Inter. Che non sarebbe più tornata. Il Bari era retrocesso, ma anche in B Enyinnaya stentava. Un paio di prestiti, a Livorno, a Foggia. Sempre più giù. La discesa sempre più ripida. Arrivò il giorno in cui a Enyinnaya scadde il contratto con il Bari. Non rinnovato. Ciccio si trovò senza squadra, il suo procuratore gli consigliò la Polonia. Ciccio gli diede retta, “non l’avessi mai fatto”, pensò dopo. I compagni di squadra lo trattavano male, lo vedevano diverso. Ma anche in campo le cose non andavano per il verso giusto. Il freddo, le incomprensioni, un calcio che continuava a voltargli le spalle. Ciccio tornò in Italia. Ma non c’era più posto per lui. Dovette accontentarsi di esperienze modeste, tra i dilettanti, con le maglie di Anziolavinio, Meda e Zagarolo. Qualcuno si ricordava ancora di lui: Gene Gnocchi lo invitò qualche volta al suo “Gnok Calcio Show” su Sky. “Cassano? Non lo sento da tanto tempo…” e il cuore gli si stringeva. Ma il calcio non era più un’isola felice per Ciccio. Un giorno guardò per l’ultima volta l’Italia e se ne andò. Fece ritorno nella sua Nigeria. Ma a Bari lo ricordano ancora. In tanti si chiedono: “Ma Enyinnaya… dov’è finito?”. E lui si ricorda ancora di Bari: “Una città che mi accolse benissimo, mi ricordo ancora il dialetto, mocc’ a te, giusto?”. L’unica città dove non solo si era sentito un calciatore importante, ma dove avvertiva il calore della gente: “A Bari non mi sentivo un nero”. Ma un fenomeno sì.